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Tra i magici paesaggi di Copenhagen e le melodiose vibrazioni dei Coldplay, un autore è nato. L'amore per il calcio, la passione per Catania e un'immaginazione che danza tra il presente e un futuro distante, hanno portato alla creazione di "Arena 2088".

 

Gabriel non scrive semplici storie; viaggia attraverso le dimensioni del tempo, catturando le emozioni più profonde che risiedono dentro di noi. Con una tastiera, un paio di auricolari e il fuoco della determinazione, ha dato vita a Samuel Arena, il protagonista che affronta sfide ai limiti dell’impossibile.

 

La scrittura, per Gabriel, è stata una fuga dalle routine quotidiane, un'esplosione di passioni che lo ha portato a esplorare mondi alternativi e a dare voce a storie che trascendono il suo ruolo di professionista bancario.

 

Attraverso i suoi racconti, Gabriel cerca di trasportare i lettori in un percorso dove la speranza e la rassegnazione, il trionfo e la disfatta, il baratro e la salvezza sono costantemente separati da un impercettibile confine.

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L'inizio di tutto...

Correva l’anno 2012.

A fine maggio mi trovavo a Copenhagen per festeggiare con mia moglie ed i miei due figli (all’epoca piccini) il decimo anniversario di matrimonio. Da tempo covava in me il desiderio di tradurre in scrittura creativa la passione che mi legava al Catania ed alla città etnea in senso lato. Come per gioco, negli anni in cui la squadra di calcio usciva dalle tenebre, avevo iniziato a scrivere sui forum web dei giornali locali, provando a convertire in parole lo spirito di sognatore che per natura è imbevuto nel mio genoma. Il Catania, in quel periodo, raggiungeva dopo un infinito ventennio la massima serie, restandoci per otto anni di fila. Proprio nel 2012 la squadra viaggiava spedita verso vette mai conosciute nella sua storia. Non una salvezza sofferta come nei precedenti anni ma un emozionante campionato di alta classifica, frutto di tecnica individuale, di coesione di gruppo, di trame di gioco esaltanti. Tanto da farci chiamare, fors’anche per la similitudine dei colori, “il piccolo Barcellona”. C’era un intero popolo, quello etneo, a spingere con gli occhi e col pensiero un collettivo di atleti in maglia rossazzurra affinché raggiungessero a fine stagione un traguardo che oggettivamente era a portata di mano: l’Europa. Ma un destino avverso volle che delle rovinose dispute dirigenziali del club, giusto nel momento cruciale del campionato, minassero l’entusiasmo e la fiducia dei giocatori, generando in loro un calo di rendimento che nelle ultime partite si tradusse, ahimè, in un piazzamento ben lontano dalla tanto agognata “UEFA League”. Fu in quel momento che la mia immaginazione ed il mio perenne sognare cominciarono a elaborare vorticosamente l’idea di un racconto, ispirato alle vicende del Catania, ma in chiave sci-fi. Il mio nome, nel contempo, era già comparso in un libro di successo sulla storia della squadra etnea, a cui collaborai per la stesura di un capitolo. Un’esperienza meravigliosa che ebbi la fortuna di intraprendere, grazie ai miei articoli postati sul forum sportivo locale che, evidentemente, erano piaciuti a qualche scrittore navigato tanto da chiedermi poi di collaborare per la realizzazione dell’opera.

Il mio primo romanzo avrebbe dovuto essere inizialmente una storia di alieni che sull’Etna, in una gelida notte d’inverno, rapissero nel sonno l’intera squadra del Catania. Trasformandoli, con espedienti medico-scientifici avanzati di secoli rispetto agli umani, in autentici fuoriclasse. Una sorta di corazzata come quel Barcellona di Messi ed Iniesta che in quegli anni incantava il mondo intero. Il racconto avrebbe poi narrato di giocatori del Catania capaci nel girone di ritorno di macinare ogni avversario, partita per partita, meritandosi a fine campionato un incredibile, storico accesso alla Champions League. Ma c'era tuttavia qualcosa che  frenava in me l'impeto di iniziare a scrivere le prime righe di quel romanzo. La sensazione era che il racconto fosse tremendamente banale, semplicistico. Scontato e maldestramente autocelebrativo. Una roba a metà strada tra le storielle di fantascienza stile anni '50 (alla George McFly di "Ritorno al Futuro" per intenderci…) e un inno ultras alla gloria "de noantri".

Più ci riflettevo e più mi capacitavo di come dovessi inventarmi qualcos'altro. 

Un romanzo che potesse emozionare chiunque, al di là del colore di appartenenza. Una storia che irradiasse la sua aura di sogno e di emozioni non soltanto nei dintorni dell’Etna ma ad ogni latitudine immaginabile.

La strada era quella giusta, lo avvertivo visceralmente. Ma quel che mancava all'appello erano ancora quattro delle cinque fondamentali "W" che costruiscono l'ossatura di un romanzo.

Se il "dove" era parzialmente acquisito, latitavano ancora il "che cosa", il "perché", il "quando". E soprattutto il "chi".Inutilmente passarono giorni, poi intere settimane, senza che riuscissi a sbrogliare il groviglio di idee, prive costrutto, che si intrecciavano nella mia mente. Finché, il 20 maggio 2012, feci le valigie per la Danimarca. Poco prima della partenza Andrea, un eclettico quanto virtuoso mio ex capo ufficio, aveva avuto modo di dirmi che in un posto come Copenhagen avrei trovato la giusta ispirazione per il romanzo. Francamente quel messaggio mi sembrava qualcosa buttato lì, in maniera meccanica, tanto per incoraggiarmi.

Alla fine partii, mettendo un attimo da parte le velleità di scrittore, intento a godermi esclusivamente un periodo di riposo e di serenità con la mia famiglia. La vacanza, in effetti, si rivelò tra le più belle sino a quel momento da me vissute. Ma non avrei mai creduto che al ritorno dalla terra natia di Andersen, di Jacobsen, di Bodelsen e di Blixen tutto mi si sarebbe sbloccato improvvisamente, come d'incanto. 

Forse erano stati i paesaggi fiabeschi di Fredericksborg, l'incanto di Nyhavn, la reggia di Rosenborg o l'atmosfera, tra il nordico ed il british, del centro di Copenhagen. Oppure qualcosa contenuto nelle tante fette di tradizionale rugbrød che avevo smozzicato prima e durante i pasti, eh eh. 

Ma avvenne quel che avvenne. Un'intera storia, delineata nella sua struttura principale. Con i suoi luoghi, il suo tempo, il suo messaggio nascosto tra le righe.

Ed infine il suo protagonista assoluto:  Samuel Arena, un fuoriclasse del calcio, in grado di infiammare i cuori delle genti.  Non soltanto in campo, ma anche attraverso i microfoni e la tastiera. Uno straordinario comunicatore che nel giro di pochi anni si sarebbe reso protagonista di un incredibile cambiamento sociale, ben oltre i confini della propria terra di origine.

Un'apoteosi che un crudele destino, tuttavia, avrebbe spezzato per opera di quello stesso vulcano che ventiquattro natali prima l'aveva partorito. Catapultandolo in un aberrante futuro distante sette decenni.

Fu un vantaggio non indifferente, il mio, quello di conoscere già a grandi linee il finale della storia, autentico tormento di innumerevoli scrittori di ogni epoca. L'unico punto a mio favore, per la verità, poiché il resto l'avrei dovuto ricreare dal nulla. A cominciare dallo stile narrativo. Piccole differenze, talvolta infinitesimali, che distinguono un'emozionante storia da un'insipida biografia. Un' esaltante epopea sportiva da un incolore almanacco. Un libro amabile da uno stucchevole, quasi detestabile.

Ma non potevo tuttavia avventurarmi in questo lungo viaggio se non avessi prima collaudato e poi scaldato i motori dell’immaginazione e della tecnica di scrittura. E il modo migliore per farlo non poteva che essere attraverso la lettura di autori contemporanei, possibilmente di genere distopico. Da tradurre poi in esercitazioni su argomenti o su personaggi banalmente quotidiani, sui quali avrei dovuto testare la mia capacità di arricchirli di spunti tali da renderli interessanti al potenziale lettore. Ma il tempo galoppava, reclamando a gran voce di essere impiegato nel modo migliore possibile. Tenendo conto di come i giornalieri impegni professionali e familiari mi riservassero degli spazi personali limitati a poche ore pomeridiane o serali. Anche se le prove di scrittura creativa le avevo superate - con mia buona soddisfazione e crescente senso di autostima - si trattava pur sempre di lunghi tempi spesi su contesti narrativi che nulla avevano a che vedere col romanzo che avrei dovuto iniziare a scrivere. Fu a quel punto che sviluppai l’idea di conciliare la necessità di perfezionare le tecniche di scrittura con l’impellenza (una grandezza piuttosto relativa, per un lavoratore a tempo pieno con famiglia come me…) di dare corpo (e anima) al mio romanzo, una volta per tutte. Pensai che il modo migliore per giungere a tale obiettivo (non importa il tempo, ma il focalizzarsi costantemente sul traguardo) fosse quello di modellare il protagonista del romanzo. Di scavare nelle sue origini. La Catania della sua infanzia ed ancor prima quella dei suoi genitori. Di come questi ultimi avessero creato le condizioni perfette affinché maturasse uno straordinario campione come Samuel Arena, il più grande calciatore siciliano di ogni tempo, unico italiano a vincere due volte il Pallone d’Oro.

L’esperienza di tale sorta di “prequel” della vera e propria trilogia si rivelò più eccitante di quanto avessi potuto immaginare. Perché mi resi conto che all’incedere della narrazione imparavo a conoscere meglio ed a delineare in maniera più nitida i tratti distintivi della persona e della personalità di Samuel. Un’ autentica incubazione che mi ha permesso poi di predisporlo idealmente al suo “ingresso al mondo” nell’incipit di “Arena 2088”.

Tale lavoro preparatorio si portò via ben quattro anni. Perdonatemi, un’eternità, lo ammetto. La scusante non era però costituita dai soli impegni di lavoro e di famiglia. Il motivo principale era da ricercare soprattutto nel deciso intento di non formulare una singola sillaba del “prequel” se non mi fossi sistematicamente trovato nelle condizioni ideali per farlo. Una predisposizione d’animo che venisse alimentata, oltre che da forti motivazioni (sempre presenti, per fortuna) anche da un fuoco interiore chiamato ISPIRAZIONE. Roba per niente scontata che non può richiamarsi affatto a comando, alla stregua della mera concentrazione che serve a portare a termine un lavoro di routine come quello di ufficio. Ma l’ispirazione, se non si può accendere a piacimento come una lampada da tavolo, può senz’altro essere stimolata. Da sensazioni visive, sonore e talvolta olfattive. Elementi che germogliano magnificamente quando la propria tastiera o il proprio foglio con penna si affacciano su un affascinante paesaggio dell’Essex, della Provenza o di una skyline americana. Da casa mia, però, non si stagliava neanche la vista dell’Etna in eruzione o delle splendide cupole barocche del centro di Catania, sicuramente non meno ammalianti di quei contesti sopra menzionati.

Non mi restava allora che ricreare in casa, con l’ausilio delle tecnologie attuali, ciò che l’assenza di tempo mi avrebbe impedito di fruire dal vivo tra i meravigliosi contesti che la città etnea offre ad ogni dove. L’idea iniziale fu di far scorrere sulla smart TV delle immagini di paesaggi, di antiche biblioteche anglosassoni, di scrittoi vintage quale sfondo ideale del mio fantasticare nella stesura del lavoro creativo. Ma l’immaginazione, con quei soli espedienti, stentava tuttavia a volare in alto, rendendomi incapace di guardare in profondità i miei orizzonti letterari. Finché un giorno presi un paio di auricolari stereo, accostandoli ai miei timpani. Sul mio telefono avevo appena stilato “Arena”, una playlist contenente una decina di brani dei Coldplay, la mia band preferita, colonna sonora degli anni più felici della mia esistenza. Ad un tratto immagini, idee e parole iniziarono a prendere magnificamente forma tra le sinapsi, come ispirato dal più stimolante ambiente accademico o dal più attraente dei paesaggi. Una marcia in più con cui iniziai a scrivere senza sosta, in maniera estemporanea, due intere pagine giornaliere di narrazione, ritoccate poi solo nella forma e nella sintassi. Ad inizio dicembre 2016 arrivai così all’elettrizzante momento del mio primo capitolo del romanzo. Tra le innumerevoli righe scritte in quei quattro anni, Samuel Arena era ormai cresciuto e maturato. Ed ora era pronto ad affrontare la più sconvolgente esperienza che un umano potesse concepire: il viaggio nella quarta dimensione.

Un percorso di paure, di lotte, di ansie e di speranze che gli stimoli trasmessi dalla giusta musica e, perchè no, da un buon bicchiere di rosso dell’Etna, mi hanno aiutato a rappresentare al meglio delle mie possibilità. Non importa quale fosse l’ora del giorno. Quale la latitudine o il contesto. Ciò che contava era immergermi nel profondo di quell’ universo narrativo, astraendomi da qualunque interferenza del mondo reale.  Che ciò avvenisse per dieci minuti o un’ora di fila era solo un dettaglio. Se alla fine del mio estemporaneo scrivere provavo un liberatorio senso di appagamento e di armonia, ciò per me valeva come il più prezioso degli attestati del mio lavoro svolto, breve o lungo che fosse.

In tutto questo tempo non ho mai smesso un giorno di scrivere. E poi di editare e di rieditare. Affinché quest'opera possa farvi emozionare, viaggiare con l'immaginazione, sognare e lasciare in voi qualcosa di buono.

Dopo un incessante editing di oltre 1.800 pagine, protrattosi sino a tutta l'estate 2023, la trilogia è ormai pronta per essere pubblicata!

 

Un caro saluto. 

 

Gabriel

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